Affitti brevi: la Corte europea contro l’abusivismo, anche online
12 mag 2022 | 3 min di lettura | Pubblicato da Castiglia M.

La Corte di Giustizia della Ue ha confermato l’obbligo degli intermediari, compresi i portali come Airbnb o Booking, di comunicare una serie di dati all’amministrazione finanziaria.
Gli host, infatti, forniscono servizi ricettivi e turistici e devono quindi versare delle tasse regionali.
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Il caso belga
La recente sentenza della Corte fa riferimento a un caso belga che risale al 2017 e che coinvolge Airbnb. In quell’occasione era successo che la regione di Bruxelles aveva chiesto al colosso delle locazioni brevi di comunicare le informazioni sui flussi turistici di quell’anno.
Airbnb aveva contestato la richiesta chiamando in causa la Corte Costituzionale belga che, a sua volta, si era rivolta alla Corte di Giustizia Ue. Secondo Airbnb, la richiesta di Bruxelles sarebbe stata in contrasto con le norme europee sulla libera circolazione dei servizi, compreso il commercio elettronico.
La decisione della Corte
La Corte Ue ha invece sentenziato che la disciplina belga interessa il settore tributario e pertanto è inapplicabile la direttiva riguardante l’e-commerce, come invece richiesto da Airbnb.
La decisione della Corte ha riconosciuto la validità e la non contrarietà alla disciplina europea della legge belga, che obbliga gli intermediari e i gestori di portali di prenotazione a comunicare al Fisco i dati degli host, i loro riferimenti, il numero di pernottamenti e il numero degli immobili gestiti nell’anno precedente.
L’obiettivo è di individuare i contribuenti debitori di tasse regionali, relative a servizi ricettivi e turistici, e i loro redditi imponibili.
Le ricadute sugli altri Paesi Ue
La decisione della Corte Ue potrebbe avere ricadute anche sugli altri Paesi Ue, Italia compresa, in quanto, secondo la normativa europea, l’applicazione della direttiva sull’e-commerce esclude la disciplina fiscale che, al contrario, è proprio quella che interessa il caso belga.
Ma c'è anche un caso italiano
Nel frattempo, sulla questione si attende una nuova decisione della Corte che riguarda l’Italia. L'udienza si riferisce alla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato italiano nell'ambito della causa sul decreto legge n. 50/2017. Il decreto prevede che i portali di prenotazione operino come sostituto d’imposta, applicando un ritenuta fiscale del 21% sugli importi incassati da versare poi al Fisco per conto dei proprietari.
Il provvedimento è stato impugnato nel 2017 da Airbnb che, per due volte, ha fatto ricorso al Tar del Lazio chiedendo l’annullamento della cedolare secca. Entrambe le volte il Tar ha respinto la richiesta. Airbnb si è allora rivolta al Consiglio di Stato il quale si è rimesso al giudizio della Corte europea dalla quale si attende la decisione finale.
I dati di Federalberghi
Secondo le elaborazioni del Centro Studi di Federalberghi, che in collaborazione con tre enti indipendenti effettua un monitoraggio costante del mercato online, la mancata applicazione della norma, a partire dal 2017, ha permesso a Airbnb di omettere il versamento delle imposte per più di 750 milioni di euro.
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