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I casi in cui si possono perdere le agevolazioni sulla prima casa

4 mar 2024 | 3 min di lettura | Pubblicato da Marco B.

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Le agevolazioni fiscali per l’acquisto della prima casa si posso perdere a causa dell’applicazione di vecchie norme.

L’ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 33699 del 4 dicembre 2023, emessa quasi dieci anni dopo l'avvio della vertenza giudiziaria.

Quali sono i casi in cui è possibile perdere l'agevolazione?

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Su quali immobili non ci sono le agevolazioni

Va premesso che nella compravendita immobiliare della prima casa le agevolazioni fiscali prevedono un’imposta di registro con l’aliquota agevolata del 2%, al posto di quella ordinaria del 9%.

Tuttavia questa aliquota più favorevole non spetta al compratore se si tratta di un’abitazione considerata di lusso. Dall’1 gennaio 2014 sono considerati immobili di lusso quelli che risultano in categoria:

  • A1
  • A8
  • A9

Queste categorie catastali contraddistinguono, rispettivamente, le abitazioni signorili, le ville, i castelli e i palazzi eminenti.

Cos'è l'abitazione signorile

Per abitazione signorile s’intende un edificio di qualità complessiva superiore alle abitazioni di tipo civile, in particolare per quanto riguarda:

  • ubicazione
  • materiali utilizzati
  • metratura
  • impianti tecnologici

I palazzi eminenti sono quelli che per la loro struttura, la ripartizione degli spazi interni e i volumi edificati non sono comparabili con le unità tipo delle altre categorie.

Cos'è cambiato dal 2014

Prima del 2014 veniva invece applicato il decreto ministeriale 2 agosto 1969. Prevedeva che fossero considerate di lusso - indipendentemente dalla categoria catastale, dalle tecnologie adottate, dai materiali usati - le unità immobiliari con:

  • superficie superiore a 240 m2
  • superficie superiore a 200 m2 qualora avessero una pertinenza scoperta superficie vasta oltre sei volte l’area coperta (anche un rudere, quindi, poteva essere definito lussuoso)

Il caso della Cassazione

Nel caso esaminato dalla Cassazione, la compravendita era avvenuta prima del 2014. L’Agenzia delle entrate aveva chiesto quindi la liquidazione, senza alcun contraddittorio endoprocedimentale, cioè senza ricorrere agli atti preparatori che si compiono prima del provvedimento finale. In pratica, si negava che fossero applicabili in quel caso le agevolazioni per la prima casa.

In poche parole, il proprietario dell’immobile non ha potuto sostenere le sue ragioni. Ha così avviato una lunga lite tributaria durata oltre 10 anni, mentre nel frattempo le norme cambiavano.

Infatti si è appellato ai principi contenuti nella legge 212 del 2000 (Statuto del contribuente) per potersi difendere, ma la Cassazione ha sostenuto che nel suo caso che non esisteva un obbligo di contraddittorio endoprocedimentale prima della notifica dell’avviso di liquidazione vero e proprio.

Lo Statuto del contribuente

Un evento del genere non dovrebbe più accadere grazie al nuovo Statuto del contribuente, adottato con il decreto legislativo 219 del 2023: prevede il contraddittorio preventivo obbligatorio con l’obiettivo di rendere la giustizia più veloce senza appesantire il lavoro giurisdizionale.

In questo caso, il contribuente può, di fronte a un'analoga contestazione, chiedere preventivamente una spiegazione dettagliata, per poi decidere di pagare; oppure avrebbe potuto presentare elementi a sostegno della sua tesi in via "bonaria" e l’amministrazione finanziaria avrebbe avuto 60 giorni di tempo per dargli ragione o torto.

Perdita delle agevolazione: cosa dice l'Agenzia delle Entrate

Quello citato è comunque un caso eccezionale.

Dal punto di vista generale, come si legge sul sito dell’Agenzia delle Entrate, "l’acquirente decade dai benefici fiscali usufruiti in sede di acquisto dell’immobile: in caso di mendacità delle dichiarazioni previste dalla legge, rese in sede di registrazione dell’atto; in caso di mancato trasferimento della residenza nel Comune ove è ubicato l’immobile entro 18 mesi dell’acquisto".

Imposta e sanzioni

Una volta avvenuta la decadenza, specifica l’Agenzia, “è dovuta la differenza tra l’imposta di registro in misura ordinaria e le imposte corrisposte per l’atto di trasferimento, una sanzione pari al 30% delle stesse imposte e il pagamento degli interessi di mora”; mentre "se la cessione è soggetta a IVA, è dovuta la differenza d’imposta non versata (ossia la differenza tra l’imposta calcolata in base all’aliquota applicabile in assenza di agevolazioni e quella risultante dall’applicazione dell’aliquota agevolata), una sanzione pari al 30% della differenza medesima e il pagamento degli interessi di mora".

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